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A. Kottaridi, L'épiphanie des dieux des Enfers dans la nécropole royale d'Aigai

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Lilly Rush
view post Posted on 13/1/2011, 01:26





PAGINA 27

Gli scavi condotti nella necropoli reale di Aigai hanno portato alla luce due rappresentazioni delle divinità del mondo sotterraneo, pietre miliari eccezionali sia per lo studio dell'iconografia sia per quello della pittura antica. Queste sono state entrambi trovate all'interno di sepolture femminili: una sulla spalliera del trono di marmo trovato nella camera della tomba della regina Euridice e la seconda sulla parete nord della tomba a cista di una delle mogli di Filippo II, a coronamento del gruppo di tombe regali del Gran Tumulo.

Quasi contemporanee – infatti sono datate con certezza al terzo quarto del IV secolo a.C. - queste opere di qualità superiore, sono nate dalla matita di due pittori che hanno lavorato nello stesso luogo e per lo stesso committente, vale a dire, la corte reale. Le due scene sono profondamente diverse. Il loro confronto è particolarmente istruttivo e, al tempo stesso, assolutamente rivelatore, in primo luogo, della polisemia e della complessità delle immagini antiche e del loro contenuto e, dall'altro, dell’approccio poliedrico che la loro identificazione e la loro lettura rende necessario.

La prima rappresentazione di Ade e Persefone portata alla luce nella necropoli di Aigai si trova all'interno della grande tomba a cista (Tomba 1) dell gruppo di tombe reali del Gran Tumulo. Una donna dell’età di poco più di vent’anni vi è sepolta con un neonato. La posizione di questa tomba vicino a quella di Filippo II, mostra che la giovane donna, morta con il suo bambino poco dopo il parto secondo lo studio delle ossa, è stata una delle sette mogli del re. Un pinax attico a vernice nera rinvenuto nella tomba e datato alla fine della prima metà del IV secolo ci fornisce un elemento abbastanza sicuro per la datazione del complesso sepolcrale intorno al 350 a.C.. E 'possibile anche identificare la defunta come pure di Nikésipolé di Fere di Tessaglia, che morì nel 352 a.C., quinta moglie di Filippo e la madre di Tessalonica. La tomba fu probabilmente costruita prima dell’heroon, che era accanto al tumulo della tomba di Filippo fin dalla fondazione del monumento all'estremità sud della fossa funeraria.

L'interno della tomba è particolarmente austero, privo di qualsiasi arrangiamento architettonico. Le quattro pareti sono campite a metà con un caratteristico rosso derivato dall’ossido di ferro, che allude al sangue, mentre la parte superiore è campita in bianco. Sulle pareti nord-est-sud nel registro superiore si sviluppa la decorazione pittorica, mentre sulla quarta parete ad ovest ci sono dei ripiani su cui sono appoggiati degli oggetti. Le due parti sono separate da un fregio dipinto e delimitato da sottili e strette bande bianche che si differenziano dal resto della superficie, attraverso incisioni. Lì, su uno sfondo blu (il colore del cielo appare una caratteristica dei fregi infatti), crescono fiori enormi e favolosi - gigli, narcisi, giacinti, belle di notte – incorniciati da chimere e grifoni affrontati, creature mitologiche poste a guardia del passaggio verso l'aldilà.

Rappresentati con attenzione, con precisione e forza in uno stile chiaramente naturalistico, tutti questi fiori e questi animali sono modellati da tonalità bianche ed ombre grigie che forniscono loro un convincente volume. Come per il fregio ionico della "tomba di Euridice”, i giochi ombra e la luce sono l'unico mezzo plastico usato per dare sostanza e volume e per evocare figure e rilievi in marmo o creature che emergono dal mondo delle ombre. Lo stesso colore è limitato a qualche tocco di rosso scuro sui corpi degli animali: le parti sono sottolineate molto di più dall'assenza di colore piuttosto che dalla sua presenza. La luce bianca illumina il fregio dall’alto, dove sono le figure degli dei. Lì, nella maggior parte delle immagini, il bianco, assoluto e luminoso, domina inaspettatamente un dipinto (Fig. 1). Bianco è lo spazio, privo di rappresentazione dello sfondo, Bianchi i corpi delle figure e dei cavalli della quadriga di Ade, ugualmente bianchi anche il petaso e il mantello di Hermes, evidenziata da un pallido bordo rosa (fig . 2 e 3); infine bianche le rocce su cui sono seduti le figure femminili. Queste sono anche vestite di bianco, ad eccezione di una di loro che indossa un chitone rosa-viola, però celato sotto un himation bianco. Questa scelta inusuale del bianco come colore dominante o piuttosto come non-colore, nella maggior parte della rappresentazione non può essere evidentemente spiegato come un fatto casuale, tanto più che, nella cosmologia orfica, contemporanea a questa rappresentazione, il significato del bianco appare indissolubilmente legato all’al di là.
Tuttavia, prima di andare avanti in materia di interpretazione, è utile discutere di alcuni elementi tecnici e stilistici che sono di particolare interesse. L'unità di stile, la natura e la qualità di questo dipinto, e l'esecuzione del disegno con una serie di piccoli dettagli, quali per esempio, la rappresentazione di gioielli e il loro ripetersi - l'anello Ade, i braccialetti di Persefone (Fig. 4) e quelli della giovane donna spaventata, e pendenti dalla figura seduta a est della parete sud – testimoniano che un solo artista ha realizzato interamente le scene della zona superiore. Inoltre, la qualità e la plasticità delle figure insolite del fregio azzurro mi fanno credere che sono state eseguite dalla stessa mano.
Sul rivestimento liscio, lucente e bagnato dell'ultimo strato, l'artista ha inciso un breve schizzo preliminare, soffermandosi principalmente sui punti più importanti della composizione. Ha poi disegnato e dipinto le sue figure con tocchi rapidi, potenti e particolarmente espressivi, a volte lungo il suo disegno preparatorio, a volte ignorandolo, con la libertà creativa tipica dell'autore di un'opera originale, talento totalmente sconosciuto ad un copista (fjg. 5, 6 e 7).
Al di fuori del fregio color cielo, la tavolozza del pittore era composta dai colori della terra alla base della tetracromia (vale a dire rosso, ocra, nero e bianco), ma anche da lacche organiche per il rosa e il viola brillante. I colori sono anche stati utilizzati puri, come per esempio, il rosso intenso del carro o il blu color cielo del fregio, ma sono soprattutto per ottenere tonalità sature dei colori necessari per ombre e volumi modellati - diversi bruno-rossastro, ocra, grigio, ma anche rosa, bordeaux e viola.
Almeno una parte della composizione è stata dipinta a fresco, ma probabilmente i ritocchi sono stati ottenuti a secco. Il colore ha una particolare trasparenza e leggerezza che ricorda gli acquerelli.

Queste pitture murali sono spesso paragonate alle lekythoi a fondo bianco, ma all’eccezione del fondo bianco dominante presente nei due casi, qualsiasi altro approccio sembra piuttosto fortuito. La ridotta tavolozza di colori tipica delle lekythoi a fondo bianco è più il risultato della scomparsa dei colori che di scelte consapevoli da parte dei loro pittori. Sembra, infatti, che in realtà spesso le lekythoi presentassero colori vivi e stratificati e che l’attuale predominanza della linea di contorno sia dovuta ad esigenze tecniche di produzione e, soprattutto, alla casualità di conservazione. Chiaramente la ricchezza, l’intensità e la plasticità del tocco del pennello dell'artista che ha realizzato la pittura murale del Ratto sorpassano tutti i precedenti conosciuti e sono incomparabilmente superiori ai contorni disegnati dai pittori di lekythoi a fondo bianco, nonostante l'impressione di nobiltà e precisione che caratterizza i migliori esemplari.

Nonostante la padronanza perfetta dei colori e della resa, che rendono in maniera eccellente il volume e il movimento, come evidenziato dall’himation viola di Ade, il pittore non ha ceduto totalmente alla tentazione della ricchezza espressiva che quel motivo poteva offrirgli. Egli limita strettamente il colore in zone selezionate, laddove si concentra l'azione, privilegiando la strada più difficile che gli dà l’occasione di mettere alla prova straordinaria potenza del disegno. Egli lavora utilizzando la linea di contorno come mezzo espressivo principale: nella mano, non è più una semplice linea separatrice, ma un tocco di pennello con il volume, il movimento e la plasticità. E’ un intero universo espressivo che, con poco, dona tutto e che ci offre una delle più belle opere d'arte antica giunta fino a noi. I tocchi grigi, rapidi ed accurati, diventano ombre e modellano

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in un incubo, come silenziosa testimone dell'inevitabile. I suoi occhi, anche se realizzati in modo sommario – con sole due brevi linee e un punto - riflettono chiaramente il dolore indicibile. E 'interessante notare che l'artista ha scelto di vestire la figura, la più umana di tutte, con i toni caldi della terra, come se volesse sottolineare la differenza dalle divinità, che assistono ugualmente alla scena dalle altre pareti, vestite di bianco come fantasmi.
Nella sua semantica formale, anche la passività di questa compagna di Persefone, Hermes appare, in contrasto con la scena. La figura femminile nel disegno è rappresentata a terra, inerte, accettando il destino di terrore. La figura maschile in modo dinamico, “aperto", con le braccia aperte,che fa un gran salto.Il kerykeion nella mano destra – il bastone magico che incanta le anime dei morti, il solo attributo tradizionale riconoscibile in questa rappresentazione - e le redini di un cavallo nella mano sinistra, il dio psicopompo (conduttore delle anime) diventa qui nymfopompo perché è colui che conduce la sposa alle sue funseste nozze. Corre, volando quasi in punta di piedi, per guidare il carro verso ovest, verso la terra dei morti. Il matrimonio forzato non è illuminato dalle tradizionali fiaccole degli imenei, ma dalla luce di un lampo terribile che brilla dinanzi al giovane dio vestito di bianco, e che illumina la scena, alludendo al consenso della Legge Suprema (la divinità Zeus) riguardo al dramma che si sta svolgendo.

Sulla parete est della tomba, direzione verso la quale sembrerebbe che Persefone si rivolga per chiedere aiuto, si trova una figura femminile piuttosto impressionante e matura, come suggeriscono le forme del suo.Questa è seduta in solitudine su una roccia e girata verso la scena del rapimento, sembra assistere preoccupata alle forzate nozze. Composizione perfettamente delineata e conclusa, questa figura grigia avvolta interamente in un’himation bianco e prostrata dal dolore, sembra fondersi con la roccia su cui è seduta. Incarnazione della fatal pietra, non può essere che Demetra, quella madre che, sebbene Dea, non potè mutare la sorte della figlia.

Le tre figure femminili che si trovano sulla parete sud sono stilisticamente vicine a Demetra, ma di natura diversa. Sono sedute sulle rocce, e per il loro atteggiamento e la loro disposizione nello spazio, sembrano formare una sola entità. La figura seduta in un angolo, col corpo girato e le braccia tese, apre la scena e conduce l'occhio dello spettatore verso le sue compagne. Con la sua silhouette morbida e la sua posa aperta e rilassata, che suscita una sensazione di serenità, appare come un contrappunto alla figura seria e introversa seduta all'altra estremità della scena. Con la fronte accigliata trasmette una impercettibile inquietudine nello spettatore. Le poche tracce conservate della figura centrale ci permettono di dire solo che, secondo l'aspetto generale e la posa del suo corpo, lei era l'anello di congiunzione fra le due.

L'identificazione di queste figure con le tre Parche da parte di Manolis Andronikos13 sembra perfettamente esatta. Se questa ipotesi è corretta, potremmo riconoscere, da est a ovest, Cloto che tende il filo della vita, in mezzo Lachesis che disegna il destino delle anime, ed infine Atropo, la più pericolosa e abietta fra le tre, che approva il destino e determina la morte. Ma la rappresentazione delle Parche è sconosciuta nell'iconografia e, pertanto, esse non possiedono gli attributi e caratteristiche che potrebbero permetterci di identificarle. Tuttavia, la loro immagine è cristallizzata nel mito di Er alla fine della Repubblica di Platone, ed è interessante notare che nella descrizione del filosofo, le Parche sono vestite di bianco, come lo sono le tre figure della tomba di Aigai. E' certo che la corte macedone intratteneva già, molto prima Filippo, stretti rapporti con la cerchia platonica. Inoltre, l’influenza reciproca delle idee platoniche e delle pratiche funerarie dell’aristocrazia macedone è ugualmente attestata altrove.
La presenza delle Parche, figlie di Ananke, illustra, nell’interno di una tomba, il destino implacabile ed acquisisce, in associazione col mito del Ratto, una dimensione semantica che, pur essendo più unica che rara, non sconvolge assolutamente la tradizione. Il modo in cui l’artista ha trattato il soggetti principale è, comunque, molto più radicale e sovversivo. Ma affinché l'analisi diventi comprensibile, conviene riprendere brevemente l'iconografia delle divinità degli inferi.
Persefone, che nella religione e nel rituale occupa con Demetra un posto particolarmente importante - in realtà molto più grande di quello di Ade - appare nell’iconografia da sola o con il marito, spesso in trono, rispettabile Signora degli Inferi e formidabile Regina dei Morti. Sempre vestita, mai nuda o seminuda, tenendo la torcia o lo scettro, appare nelle rappresentazioni dei misteri di Eleusi e del mondo degli Inferi, e svolge un ruolo preminente nelle rare scene d’Anodos (Discesa agli Inferi).

La storia del suo rapimento da parte di Ade, come si cristallizza nell’inno arcaico dedicato a Demetra, appare nell'iconografia agli inizi del V secolo a.C., seguendo il modello, caratteristico dell’epoca, dell'”inseguimento amoroso”, e rimane fino al periodo ellenistico, un soggetto piuttosto raro.
Il carro è rappresentato per la prima volta poco prima della metà del secolo in scene relative al mito del Ratto su alcuni pinax in terracotta di Locri. Nella seconda metà del V secolo a.C., cominciano ad apparire anche nell’iconografia attica delle rappresentazioni del ratto di fanciulle, nelle quali compare la quadriga, elemento ispirato alla tradizionale iconografia della cerimonia nuziale. Il vero rapporto di parentela fra questi soggetti sta nella rappresentazione del carro, ma anche nell’atteggiamento della donna rapita. Non solo ella non tenta di fuggire, ma inoltre appare sul carro, vestita ed adornata come una sposa, a volte facendo anche il gesto nuziale caratteristico dell’apokalypsis (dello svelarsi). E proprio a quest’epoca è datata l’unica rappresentazione certa, nella ceramica attica, del ratto di Core.
 
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Lilly Rush
view post Posted on 13/1/2011, 12:40




les volumes pour donner vie à ces figures, à la fois expressives et convaincantes dans leur mouvement, mais, en meme temps, étrangement trasparentes, comme des créatures oniriques surgies d'un monde lontain où elles ne vivent que par le jeu de l'ombre et de la lumière. Sur le mur nord del a tombe se trouve le point culminant de la narration: ici, au milieu de la scène, domine le char attelé de quatre chevaux. Hadès, plus grand que toutes les autres figures, a déjà attrapé sa proie et saute dans le char (fig. 8). Son pied gauche est déjà posé sur l'essieu alors que le droit touche encore le sol de la pointe des orteils. De sa main droite, le souverain des morts serre le sceptre du pouvoir et les renes des chevaux, lesquels, avec leurs membres antérieurs levés et leurs queues agitées, frémissent et entament déjà leur galop frénetique.
 
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Lilly Rush
view post Posted on 15/1/2011, 02:26




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I tocchi grigi, rapidi ed accurati, diventano ombre e modellano volumi che danno vita a queste figure, espressive e convincenti nel loro movimento,ma allo stesso tempo, stranamente trasparenti creature oniriche generate da un mondo lontano dove vivono solo con il gioco delle ombre e della luce. Sulla parete nord si trova il punto culminante della narrazione: qui, nel bel mezzo del palcoscenico, domina il carro trainato da quattro cavalli. Ade, più grande di tutte le altre figure, ha già catturato la sua preda e salta nel carro (Fig. 8). Il suo piede sinistro è già appoggiato su di esso mentre il destro tocca ancora il terreno in punta di piedi. Con la mano destra, il sovrano dei morti stringe lo scettro del potere e le redini dei cavalli,che con le loro zampe anteriori e le loro code agitate, fremono e cominciano il loro galoppo già frenetico. Ade tiene prigioniera Persefone fra le gambe e la stringe fermamente afferrandole il seno. La fanciulla è nuda, il suo vestito vola per il vento: questo rimane fermo solo sulle spalla e dove è tenuto dalla cintura. L’himation color porpora che copre il basso ventre della giovane dea diviene il fondamento dal quale sorgono i fianchi morbidi. Questo si perde, fondendosi con quello di Ade, che fluttua con pieghe tremanti e che nasconde la nudità del venerabile dio. Nell’ultimo sforzo per sfuggirgli, Core si getta all’indietro; il suo corpo si estende, flessibile come il gambo di un fiore, per liberarsi dalle gambe e dalle braccia che la stringono come tenaglie. Totalmente impotente, la fanciulla tende le braccia per invocare un aiuto che non riceverà. Il vento agita i suoi capelli, i suoi occhi si chiudono, il suo viso si trasforma in una maschera di disperazione. Il rifiuto di Core di accettare il suo destino, il suo desiderio di aggrapparsi al mondo che ella è obbligata a lasciare e la sua repulsione per Ade sono chiaramente espressi dai movimenti del suo corpo, in completa opposizione a quelli del dio e dalla distanza che separa le loro teste. Nello stesso tempo, la relazione fra le due divinità è evocata dalla maniera eloquente ed inattesa con cui i due corpi sono uniti a livello del ventre. Con una composizione aperta, eccezionalmente dinamica e particolarmente audace, basata sull’intensità e sull’equilibrio prodotto dalle diagonali delle due divinità che si incrociano – una invenzione che probabilmente l’autore del Ratto ha introdotto per primo nell’iconografia tradizionale – il pittore riesce a tradurre tutta la tensione drammatica dell’antagonismo fra il cacciatore e la sua preda, fra l’uomo e la donna, fra la vita e la morte. Qui Ade appare vincitore. Persefone sembra una qualunque ragazza tra le braccia di un uomo nel pieno della sua maturità. Il suo corpo scompare dietro la gamba del dio che prolunga, in un’audace prospettiva, la diagonale formata dalla figura femminile. All’angoscia ed alla disperazione di Core si oppone l’impercettibile sicurezza, la forza impenetrabile e il timore che il viso del dio ispira: questo studio della figura del principe della morte è il più sconvolgente che l’Antichità classica ci ha lasciato in eredità. Il dramma e il pathos che si concentrano qui sono abilmente marcati con l'uso di colori ricchi e potenti che si ritrovano solo in queste zone: la porpora splendente del drappo del dio e il rosso profondo del carro. Allo stesso tempo, l’impressione di movimento e di profondità è accentuata dalla resa in prospettiva delle ruote, che il disegno equilibra grazie alle forme dinamiche dell’asse, e dello scettro, disposto in diagonale. Dietro al carro, presso l’angolo est della scena, una compagna di Persefone assiste al dramma, per metà inginocchiata, paralizzata dalla paura (Fig. 9). Il suo vestito scivola ed appare il petto nudo. Tuttavia il suo himation bruno dorato con un ampio bordo viola, l’avvolge ancora, formando così un nimbo caldo all’interno del quale spicca il pallore seducente della sua pelle. Curva in avanti, ella alza le braccia per proteggersi e sembra voler fuggire ma senza successo, pietrificata come
 
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Princess Andromeda
view post Posted on 3/3/2011, 20:07




A. Kottaridi, L'épiphanie des dieux des Enfers dans la nécropole royale d'Aigai

PAGINA 27

Gli scavi condotti nella necropoli reale di Aigai hanno portato alla luce due rappresentazioni delle divinità del mondo sotterraneo, pietre miliari eccezionali sia per lo studio dell'iconografia sia per quello della pittura antica. Queste sono state entrambi trovate all'interno di sepolture femminili: una sulla spalliera del trono di marmo trovato nella camera della tomba della regina Euridice e la seconda sulla parete nord della tomba a cista di una delle mogli di Filippo II, a coronamento del gruppo di tombe regali del Gran Tumulo.

Quasi contemporanee – infatti sono datate con certezza al terzo quarto del IV secolo a.C. - queste opere di qualità superiore, sono nate dalla matita di due pittori che hanno lavorato nello stesso luogo e per lo stesso committente, vale a dire, la corte reale. Le due scene sono profondamente diverse. Il loro confronto è particolarmente istruttivo e, al tempo stesso, assolutamente rivelatore, in primo luogo, della polisemia e della complessità delle immagini antiche e del loro contenuto e, dall'altro, dell’approccio poliedrico che la loro identificazione e la loro lettura rende necessario.

La prima rappresentazione di Ade e Persefone portata alla luce nella necropoli di Aigai si trova all'interno della grande tomba a cista (Tomba 1) del gruppo di tombe reali del Gran Tumulo. Una donna dell’età di poco più di vent’anni vi è sepolta con un neonato. La posizione di questa tomba vicino a quella di Filippo II, mostra che la giovane donna, morta con il suo bambino poco dopo il parto secondo lo studio delle ossa, è stata una delle sette mogli del re. Un pinax attico a vernice nera rinvenuto nella tomba e datato alla fine della prima metà del IV secolo ci fornisce un elemento abbastanza sicuro per la datazione del complesso sepolcrale intorno al 350 a.C.. E 'possibile anche identificare la defunta come pure di Nikésipolé di Fere di Tessaglia, che morì nel 352 a.C., quinta moglie di Filippo e la madre di Tessalonica. La tomba fu probabilmente costruita prima dell’heroon, che era accanto al tumulo della tomba di Filippo fin dalla fondazione del monumento all'estremità sud della fossa funeraria.

L'interno della tomba è particolarmente austero, privo di qualsiasi arrangiamento architettonico. Le quattro pareti sono campite a metà con un caratteristico rosso derivato dall’ossido di ferro, che allude al sangue, mentre la parte superiore è campita in bianco. Sulle pareti nord-est-sud nel registro superiore si sviluppa la decorazione pittorica, mentre sulla quarta parete ad ovest ci sono dei ripiani su cui sono appoggiati degli oggetti. Le due parti sono separate da un fregio dipinto e delimitato da sottili e strette bande bianche che si differenziano dal resto della superficie, attraverso incisioni. Lì, su uno sfondo blu (il colore del cielo appare una caratteristica dei fregi infatti), crescono fiori enormi e favolosi - gigli, narcisi, giacinti, belle di notte – incorniciati da chimere e grifoni affrontati, creature mitologiche poste a guardia del passaggio verso l'aldilà.

Rappresentati con attenzione, con precisione e forza in uno stile chiaramente naturalistico, tutti questi fiori e questi animali sono modellati da tonalità bianche ed ombre grigie che forniscono loro un convincente volume. Come per il fregio ionico della "tomba di Euridice”, i giochi ombra e la luce sono l'unico mezzo plastico usato per dare sostanza e volume e per evocare figure e rilievi in marmo o creature che emergono dal mondo delle ombre. Lo stesso colore è limitato a qualche tocco di rosso scuro sui corpi degli animali: le parti sono sottolineate molto di più dall'assenza di colore piuttosto che dalla sua presenza. La luce bianca illumina il fregio dall’alto, dove sono le figure degli dei. Lì, nella maggior parte delle immagini, il bianco, assoluto e luminoso, domina inaspettatamente un dipinto (Fig. 1). Bianco è lo spazio, privo di rappresentazione dello sfondo, Bianchi i corpi delle figure e dei cavalli della quadriga di Ade, ugualmente bianchi anche il petaso e il mantello di Hermes, evidenziata da un pallido bordo rosa (fig . 2 e 3); infine bianche le rocce su cui sono seduti le figure femminili. Queste sono anche vestite di bianco, ad eccezione di una di loro che indossa un chitone rosa-viola, però celato sotto un himation bianco. Questa scelta inusuale del bianco come colore dominante o piuttosto come non-colore, nella maggior parte della rappresentazione non può essere evidentemente spiegato come un fatto casuale, tanto più che, nella cosmologia orfica, contemporanea a questa rappresentazione, il significato del bianco appare indissolubilmente legato all’al di là.
Tuttavia, prima di andare avanti in materia di interpretazione, è utile discutere di alcuni elementi tecnici e stilistici che sono di particolare interesse. L'unità di stile, la natura e la qualità di questo dipinto, e l'esecuzione del disegno con una serie di piccoli dettagli, quali per esempio, la rappresentazione di gioielli e il loro ripetersi - l'anello Ade, i braccialetti di Persefone (Fig. 4) e quelli della giovane donna spaventata, e pendenti dalla figura seduta a est della parete sud – testimoniano che un solo artista ha realizzato interamente le scene della zona superiore. Inoltre, la qualità e la plasticità delle figure insolite del fregio azzurro mi fanno credere che sono state eseguite dalla stessa mano.
Sul rivestimento liscio, lucente e bagnato dell'ultimo strato, l'artista ha inciso un breve schizzo preliminare, soffermandosi principalmente sui punti più importanti della composizione. Ha poi disegnato e dipinto le sue figure con tocchi rapidi, potenti e particolarmente espressivi, a volte lungo il suo disegno preparatorio, a volte ignorandolo, con la libertà creativa tipica dell'autore di un'opera originale, talento totalmente sconosciuto ad un copista (fjg. 5, 6 e 7).
Al di fuori del fregio color cielo, la tavolozza del pittore era composta dai colori della terra alla base della tetracromia (vale a dire rosso, ocra, nero e bianco), ma anche da lacche organiche per il rosa e il viola brillante. I colori sono anche stati utilizzati puri, come per esempio, il rosso intenso del carro o il blu color cielo del fregio, ma sono soprattutto per ottenere tonalità sature dei colori necessari per ombre e volumi modellati - diversi bruno-rossastro, ocra, grigio, ma anche rosa, bordeaux e viola.
Almeno una parte della composizione è stata dipinta a fresco, ma probabilmente i ritocchi sono stati ottenuti a secco. Il colore ha una particolare trasparenza e leggerezza che ricorda gli acquerelli.

Queste pitture murali sono spesso paragonate alle lekythoi a fondo bianco, ma all’eccezione del fondo bianco dominante presente nei due casi, qualsiasi altro approccio sembra piuttosto fortuito. La ridotta tavolozza di colori tipica delle lekythoi a fondo bianco è più il risultato della scomparsa dei colori che di scelte consapevoli da parte dei loro pittori. Sembra, infatti, che in realtà spesso le lekythoi presentassero colori vivi e stratificati e che l’attuale predominanza della linea di contorno sia dovuta ad esigenze tecniche di produzione e, soprattutto, alla casualità di conservazione. Chiaramente la ricchezza, l’intensità e la plasticità del tocco del pennello dell'artista che ha realizzato la pittura murale del Ratto sorpassano tutti i precedenti conosciuti e sono incomparabilmente superiori ai contorni disegnati dai pittori di lekythoi a fondo bianco, nonostante l'impressione di nobiltà e precisione che caratterizza i migliori esemplari.

Nonostante la padronanza perfetta dei colori e della resa, che rendono in maniera eccellente il volume e il movimento, come evidenziato dall’himation viola di Ade, il pittore non ha ceduto totalmente alla tentazione della ricchezza espressiva che quel motivo poteva offrirgli. Egli limita strettamente il colore in zone selezionate, laddove si concentra l'azione, privilegiando la strada più difficile che gli dà l’occasione di mettere alla prova straordinaria potenza del disegno. Egli lavora utilizzando la linea di contorno come mezzo espressivo principale: nella mano, non è più una semplice linea separatrice, ma un tocco di pennello con il volume, il movimento e la plasticità. E’ un intero universo espressivo che, con poco, dona tutto e che ci offre una delle più belle opere d'arte antica giunta fino a noi. I tocchi grigi, rapidi ed accurati, diventano ombre e modellano volumi che danno vita a queste figure, espressive e convincenti nel loro movimento,ma allo stesso tempo, stranamente trasparenti creature oniriche generate da un mondo lontano dove vivono solo con il gioco delle ombre e della luce. Sulla parete nord si trova il punto culminante della narrazione: qui, nel bel mezzo del palcoscenico, domina il carro trainato da quattro cavalli. Ade, più grande di tutte le altre figure, ha già catturato la sua preda e salta nel carro (Fig. 8). Il suo piede sinistro è già appoggiato su di esso mentre il destro tocca ancora il terreno in punta di piedi. Con la mano destra, il sovrano dei morti stringe lo scettro del potere e le redini dei cavalli,che con le loro zampe anteriori e le loro code agitate, fremono e cominciano il loro galoppo già frenetico. Ade tiene prigioniera Persefone fra le gambe e la stringe fermamente afferrandole il seno. La fanciulla è nuda, il suo vestito vola per il vento: questo rimane fermo solo sulle spalla e dove è tenuto dalla cintura. L’himation color porpora che copre il basso ventre della giovane dea diviene il fondamento dal quale sorgono i fianchi morbidi. Questo si perde, fondendosi con quello di Ade, che fluttua con pieghe tremanti e che nasconde la nudità del venerabile dio. Nell’ultimo sforzo per sfuggirgli, Core si getta all’indietro; il suo corpo si estende, flessibile come il gambo di un fiore, per liberarsi dalle gambe e dalle braccia che la stringono come tenaglie. Totalmente impotente, la fanciulla tende le braccia per invocare un aiuto che non riceverà. Il vento agita i suoi capelli, i suoi occhi si chiudono, il suo viso si trasforma in una maschera di disperazione. Il rifiuto di Core di accettare il suo destino, il suo desiderio di aggrapparsi al mondo che ella è obbligata a lasciare e la sua repulsione per Ade sono chiaramente espressi dai movimenti del suo corpo, in completa opposizione a quelli del dio e dalla distanza che separa le loro teste. Nello stesso tempo, la relazione fra le due divinità è evocata dalla maniera eloquente ed inattesa con cui i due corpi sono uniti a livello del ventre. Con una composizione aperta, eccezionalmente dinamica e particolarmente audace, basata sull’intensità e sull’equilibrio prodotto dalle diagonali delle due divinità che si incrociano – una invenzione che probabilmente l’autore del Ratto ha introdotto per primo nell’iconografia tradizionale – il pittore riesce a tradurre tutta la tensione drammatica dell’antagonismo fra il cacciatore e la sua preda, fra l’uomo e la donna, fra la vita e la morte. Qui Ade appare vincitore. Persefone sembra una qualunque ragazza tra le braccia di un uomo nel pieno della sua maturità. Il suo corpo scompare dietro la gamba del dio che prolunga, in un’audace prospettiva, la diagonale formata dalla figura femminile. All’angoscia ed alla disperazione di Core si oppone l’impercettibile sicurezza, la forza impenetrabile e il timore che il viso del dio ispira: questo studio della figura del principe della morte è il più sconvolgente che l’Antichità classica ci ha lasciato in eredità. Il dramma e il pathos che si concentrano qui sono abilmente marcati con l'uso di colori ricchi e potenti che si ritrovano solo in queste zone: la porpora splendente del drappo del dio e il rosso profondo del carro. Allo stesso tempo, l’impressione di movimento e di profondità è accentuata dalla resa in prospettiva delle ruote, che il disegno equilibra grazie alle forme dinamiche dell’asse, e dello scettro, disposto in diagonale. Dietro al carro, presso l’angolo est della scena, una compagna di Persefone assiste al dramma, per metà inginocchiata, paralizzata dalla paura (Fig. 9). Il suo vestito scivola ed appare il petto nudo. Tuttavia il suo himation bruno dorato con un ampio bordo viola, l’avvolge ancora, formando così un nimbo caldo all’interno del quale spicca il pallore seducente della sua pelle. Curva in avanti, ella alza le braccia per proteggersi e sembra voler fuggire ma senza successo, pietrificata come in un incubo, come silenziosa testimone dell'inevitabile. I suoi occhi, anche se realizzati in modo sommario – con sole due brevi linee e un punto - riflettono chiaramente il dolore indicibile. E 'interessante notare che l'artista ha scelto di vestire la figura, la più umana di tutte, con i toni caldi della terra, come se volesse sottolineare la differenza dalle divinità, che assistono ugualmente alla scena dalle altre pareti, vestite di bianco come fantasmi.
Nella sua semantica formale, anche la passività di questa compagna di Persefone, Hermes appare, in contrasto con la scena. La figura femminile nel disegno è rappresentata a terra, inerte, accettando il destino di terrore. La figura maschile in modo dinamico, “aperto", con le braccia aperte,che fa un gran salto.Il kerykeion nella mano destra – il bastone magico che incanta le anime dei morti, il solo attributo tradizionale riconoscibile in questa rappresentazione - e le redini di un cavallo nella mano sinistra, il dio psicopompo (conduttore delle anime) diventa qui nymfopompo perché è colui che conduce la sposa alle sue funeste nozze. Corre, volando quasi in punta di piedi, per guidare il carro verso ovest, verso la terra dei morti. Il matrimonio forzato non è illuminato dalle tradizionali fiaccole degli imenei, ma dalla luce di un lampo terribile che brilla dinanzi al giovane dio vestito di bianco, e che illumina la scena, alludendo al consenso della Legge Suprema (la divinità Zeus) riguardo al dramma che si sta svolgendo.

Sulla parete est della tomba, direzione verso la quale sembrerebbe che Persefone si rivolga per chiedere aiuto, si trova una figura femminile piuttosto impressionante e matura, come suggeriscono le forme del suo. Questa è seduta in solitudine su una roccia e girata verso la scena del rapimento, sembra assistere preoccupata alle forzate nozze. Composizione perfettamente delineata e conclusa, questa figura grigia avvolta interamente in un’himation bianco e prostrata dal dolore, sembra fondersi con la roccia su cui è seduta. Incarnazione della fatal pietra, non può essere che Demetra, quella madre che, sebbene Dea, non potè mutare la sorte della figlia.

Le tre figure femminili che si trovano sulla parete sud sono stilisticamente vicine a Demetra, ma di natura diversa. Sono sedute sulle rocce, e per il loro atteggiamento e la loro disposizione nello spazio, sembrano formare una sola entità. La figura seduta in un angolo, col corpo girato e le braccia tese, apre la scena e conduce l'occhio dello spettatore verso le sue compagne. Con la sua silhouette morbida e la sua posa aperta e rilassata, che suscita una sensazione di serenità, appare come un contrappunto alla figura seria e introversa seduta all'altra estremità della scena. Con la fronte accigliata trasmette una impercettibile inquietudine nello spettatore. Le poche tracce conservate della figura centrale ci permettono di dire solo che, secondo l'aspetto generale e la posa del suo corpo, lei era l'anello di congiunzione fra le due.

L'identificazione di queste figure con le tre Parche da parte di Manolis Andronikos13 sembra perfettamente esatta. Se questa ipotesi è corretta, potremmo riconoscere, da est a ovest, Cloto che tende il filo della vita, in mezzo Lachesis che disegna il destino delle anime, ed infine Atropo, la più pericolosa e abietta fra le tre, che approva il destino e determina la morte. Ma la rappresentazione delle Parche è sconosciuta nell'iconografia e, pertanto, esse non possiedono gli attributi e caratteristiche che potrebbero permetterci di identificarle. Tuttavia, la loro immagine è cristallizzata nel mito di Er alla fine della Repubblica di Platone, ed è interessante notare che nella descrizione del filosofo, le Parche sono vestite di bianco, come lo sono le tre figure della tomba di Aigai. E' certo che la corte macedone intratteneva già, molto prima Filippo, stretti rapporti con la cerchia platonica. Inoltre, l’influenza reciproca delle idee platoniche e delle pratiche funerarie dell’aristocrazia macedone è ugualmente attestata altrove.
La presenza delle Parche, figlie di Ananke, illustra, nell’interno di una tomba, il destino implacabile ed acquisisce, in associazione col mito del Ratto, una dimensione semantica che, pur essendo più unica che rara, non sconvolge assolutamente la tradizione. Il modo in cui l’artista ha trattato il soggetti principale è, comunque, molto più radicale e sovversivo. Ma affinché l'analisi diventi comprensibile, conviene riprendere brevemente l'iconografia delle divinità degli inferi.
Persefone, che nella religione e nel rituale occupa con Demetra un posto particolarmente importante - in realtà molto più grande di quello di Ade - appare nell’iconografia da sola o con il marito, spesso in trono, rispettabile Signora degli Inferi e formidabile Regina dei Morti. Sempre vestita, mai nuda o seminuda, tenendo la torcia o lo scettro, appare nelle rappresentazioni dei misteri di Eleusi e del mondo degli Inferi, e svolge un ruolo preminente nelle rare scene d’Anodos (Discesa agli Inferi).

La storia del suo rapimento da parte di Ade, come si cristallizza nell’inno arcaico dedicato a Demetra, appare nell'iconografia agli inizi del V secolo a.C., seguendo il modello, caratteristico dell’epoca, dell'”inseguimento amoroso”, e rimane fino al periodo ellenistico, un soggetto piuttosto raro.
Il carro è rappresentato per la prima volta poco prima della metà del secolo in scene relative al mito del Ratto su alcuni pinax in terracotta di Locri. Nella seconda metà del V secolo a.C., cominciano ad apparire anche nell’iconografia attica delle rappresentazioni del ratto di fanciulle, nelle quali compare la quadriga, elemento ispirato alla tradizionale iconografia della cerimonia nuziale. Il vero rapporto di parentela fra questi soggetti sta nella rappresentazione del carro, ma anche nell’atteggiamento della donna rapita. Non solo ella non tenta di fuggire, ma inoltre appare sul carro, vestita ed adornata come una sposa, a volte facendo anche il gesto nuziale caratteristico dell’apokalypsis (dello svelarsi). E proprio a quest’epoca è datata l’unica rappresentazione certa, nella ceramica attica, del ratto di Core.

Nel IV secolo a.C., il mito del Rapimento appare soprattutto nella ceramica della Magna Grecia dove, non soltanto erano divinità centrali Persefone e Demetra, ma anche le credenze orfiche e quelle dei pitagorici, tra le quali quelle della Padrona degli Inferi giocava un ruolo importante, erano importanti allo stesso modo, come lo è stato anche in Macedonia. Secondo gli schemi esistenti le immagini di questi vasi rappresentano più un corteo nuziale che un rapimento. La dea, vestita e ornata regalmente, si mantiene sul carro allo stesso modo del suo futuro sposo. I suoi compagni ricevono la torcia e divengono dei ninfogati (?), pronti a cantare gli inni, finchè Ermes si comporta come un parente prossimo. In questa scena, il terrore, l’angoscia e il pathos sono assenti, e non si notano simboli caratteristici (del ratto) il che lascerebbe supporre che si tratti veramente di un matrimonio. Fino alla metà del IV a.C., vale a dire fino all’epoca in cui fu dipinto il Ratto d’Aigai, le scene in cui si può percepire l’intenzione del coro di manifestare il suo disaccordo sembrano rare. E in questi stessi casi, si può constatare un ritorno alla drammatizzazione ed a una certa debolezza nella reazione di Persefone che tende le braccia per cercare aiuto. In tutte le rappresentazioni, la dea non è mai rappresentata nuda. Questa tradizione è sconvolta dall’artista del Ratto di Aigai che non ha esitato a rappresentare la Signora dei morti avida di aggrapparsi alla vita come l’ultimo dei mortali. L’artista osa allo stesso modo raffigurare P. nuda e senza difese, come un oggetto dei desideri nelle mani di un dio inesorabile. Egli è riuscito dunque, grazie a questa concezione originale, a far crescere il terrore l’angoscia, la disperazione e la sofferenza della grande dea. Questa immagine umanizzata ed estremamente tragica della Regina dei morti, è mi sembra, l’invenzione più importante del nostro pittore. E’ da notare che questa nuova concezione abbia segnato l’iconografia del soggetto nei secoli seguenti. Benché questa sia stata rinchiusa per sempre nell’oscurità della tomba della necropoli reale di Aigai, inaccessibile a tutti, sembrerebbe che l’ispirazione che ha guidato il pennello del pittore di questo monumento sotterraneo abbia prodotto dei frutti in superficie più accessibili e più celebri. non si potrebbe spiegare altrimenti la parentela evidente, e del tutto impressionante, della composizione e dei soggetti della tomba della capitale macedone con il mosaico del II secolo a.C. proveniente da Roma, che gli specialisti accostano alle scene del celebre ratto di P. dipinto da Nichomachos che, secondo Plinio, era stato trasferito a Roma ed esposto nel Capidoglio. Se si accetta il principio della demarcazione, che consiste nel rapportare le opere conservate con le pitture conosciute attraverso le fonti, non è impossibile che Andronikos avesse ragione nel sostenere che l’autore del nostro dipinto fosse lo stesso N. La sua creazione, celebre nell’antichità, è veramente assai vicina alla pittura della tomba di Aigai, deve senza dubbio la sua reputazione a questa nuova concezione, “rivoluzionaria” per l’epoca, che gli offre persino la possibilità di essere esposto nella galleria d’arte della pittura antica in un palazzo( come il Campidoglio). Ma quale che sia il suo nome, il pittore del Ratto di P. a Aigai era veramente un’artista di talento, dotato di uno spirito brillante. Il suo pennello, ha potuto rendere viva una realtà impalpabile, raccontando il dramma più grande della religiosità antica, rappresentando in una maniera perfettamente poetica il mistero stesso della morte. Appena a fianco della porta nord ovest delle mura della villa, nelle prossimità del santuario delle offerte regali, in un posto centrale, che si distingue singolarmente dal resto della necropoli di A., si trova il gruppo delle sculture. al centro del quale, domina per la sua grandezza, la grande tomba macedone che può essere attribuita alla regina Euridice, sposa di Amyntas III, e madre di Alessandro II, Perdiccas III e Filippo II. Dei frammenti provenienti da almeno tra anfore panatenaiche che portano il nome di Lykistos, arconte eponimo nel 344-343 a.C., le anfore datano la sepoltura in un periodo precedente al 340. Questi frammenti danno anche un terminus ante que sicuro per la costruzione del monumento che potrebbe essere uno dei primi, se non il primo stesso. La tomba, ad eccezione per la sua grandezza, non si differenza per la sua grandezza, non si differenza esteriormente da una tomba tradizionale a cista, concretizza la concezione platonica della sepoltura dei capi della città ideale, come è scritto nelle Leggi: “La tomba sarà costruita in volte sotterranee, rettangolare, fatta di lastre di porfido il meno soggetto possibile all’usura, con letti di pietra sistemati parallelamente”. Qui, come nel caso di tutte le tombe macedoni precedenti, la kline, non si è potuta conservare, essendo fatta in legno con una decorazione in oro e avorio. Si tratta di un sistema funzionale, e non ad uso esclusivamente funeario. In compenso, il celebre trono sul quale era deposta l’urna di marmo che conteneva i resti bruciati della defunta regina (fig. 12). Dopo i dettagli tecnici e i loro usi nell’angolo nord-est della tomba davanti la facciata monumentale – una messinscena che, rimandando alle volte dei palazzi e dei templi, dà un’esistenza alla Porta degli Inferi -, questo trono e il suo sedile sono stati realizzati in marmo, probabilmente pario, osservandone gli aspetti macroscopici, scelto volontariamente. E’ senza dubbio un caso che questo relativismo materiale è stato selezionato per la fabbricazione di mobili in pietra (???). Destinato ad essere posto nella tomba e a durare per secoli, esso deve avere un aspetto crisoelefantino. O, la tinta calda del marmo bianco di Paros, che è anche relativamente facile da lavorare, somiglia molto al colore dell’avorio e può ricordare i marmi preziosi, caratteristici del mobilio reale. Il marmo ha assunto una forma poco comune, tradizionalmente riservata ai mobili in legno, molto più leggeri. I rilievi decorativi sono stati intagliati in dimensioni abituali dei mobili crisoelefantini, e le figure a tutto tondo sono state aggiunte per riempire gli spazi sotto i braccioli e la parte inferiore del registro. E’ stato utilizzato l’oro per rendere l’aspetto generale più convincente e l’imitazione più perfetta possibile. Sul registro superiore di questo trono funerario, appare, come una tavola circondata da una cornice preziosa, una delle migliori rappresentazioni conservate, dipinte in epoca classica, Ade e Persefone: gli dei, in piedi sulla quadriga, si dirigono verso lo spettatore. Sulla superficie totalmente levigata del tavolo di marmo, dove non c’è alcuna traccia di lavoro di preparazione, il pittore ha delineato i contorni con sottili linee di grigio scuro. Ha poi coperto la superficie delle figure con un colore base prima di applicare dei toni sfumati che gli hanno permesso di dare volume. Ha infine applicato differenti colori per creare i dettagli, un processo ancora utilizzato nella pittura tradizionale. I pigmenti utilizzati sono il bianco di piombo, quasi ceruleo, differenti ocre per il giallo, quasi sandalo o solfuro d’arsenico, e il cinabro per il rosso, il blu egiziano e il nero. I rosa e i porpora brillanti dei vestiti degli dei sono ottenuti senza dubbio mediante sostane organiche. Con una forte illuminazione radente si può distinguere facilmente lo spessore della pennellata, che testimonia il modo di lavorare dell’artista. La materia forma uno strato consistente sulla superficie, senza tuttavia introdursi nei pori del marmo, come è visibile nei punti di frattura. Questo manifesta che il legante utilizzato per i pigmenti è una colla organica viscosa: la cera – e da questo si potrebbe immaginare un’applicazione molto interessante dell’encausto -, o uovo o gomma. Le analisi effettuate hanno permesso di stabilire che è gomma arabica, ma non possiamo sapere se quella sia stata il legante o una vernice applicata sulla pittura per aumentare la brillantezza del colore. Il colore qui impiegato, con tutte il suo potenziale rappresentativo, come un componente principale di un linguaggio pittorico evoluto, è in grado di modellare in maniera convincente e viva forme e figure. Sulla tavola, a differenza della pittura del Ratto, il contorno, che si può distinguere appieno, non ha più un ruolo principale. Il colore, abbondante, che, con le degradazioni cromatiche, modella i volumi e crea illusione di realtà. I colori della tavolozza di base sono qui utilizzati principalmente saturi e i giochi d’ombra e la luce si creano sulla mescolanza di bianchi e neri. Ma per apprezzare la tonalità dei colori e la dimensione pittorica della tavola, è necessario non prestare attenzione alle macchie profonde ottenute a causa dei microrganismi. La brillantezza dei colori e la qualità dei pigmenti sembrano sorpassare i limiti tradizionali della tetracromia e dell’austerità che si trova nelle pitture successive. Io credo che sia più prudente attenersi alle categorie platoniche di alourgon e glaucon nel senso di “luminoso” e “brillante”, in opposizione con le nozioni di “scuro” e “cupo”. Al centro del dipinto dominano le due divinità l’una a fianco dell’altra, in piedi, di fronte allo spettatore, rigidi e impassibili come delle statue. Ade conduce il carro con le redini dei cavalli nella mano sinistra e lo scettro nella mano destra. E’ vestito con un chitone da cerimonia, bianco e bordato di viola sulle maniche, e di un himaton di un pallido rosa violetto. Alla sua sinistra, con un gesto caratteristico, Persefone alza leggermente le braccia e scosta l’himation che gli copre la testa, lasciando apparire la sua bellezza divina, come sposa di Ade, Regina degli inferi. Lei è vestita in maniera elegante, come il suo compagno, con un vestito bianco, con un pesante peplo con una banda violetta la centro, e un himation rosa violetto. La regalità della dea è sottolineata dalla ricchezza dei suoi gioielli – orecchini, collier, spille e braccialetti – che non sono semplicemente dipinti, ma anche, come il suo scettro, placcate di fili di oro puro. Al centro della scena brillano le tonalità del bianco e del rosa e del violetto del vestito,che si prolungano sulla facciata anteriore della cassa del carro. Le due figure divine spiccano sull’azzurro chiaro di un cielo smagliante, e i due cavalli bianchi che li accompagnano fermano il cerchio della luce. Gli altri due cavalli, sistemati all’esterno, così come la banda scura del sole, delimitano chiaramente la cornice della scena. La luce che si sprigiona dai colori e illumina la superficie del dipinto non è, a mio avviso, una semplice scelta estetica del pittore. Ha una valenza metafisica in relazione diretta non soltanto con il contenuto ma anche con la funzione di questa immagine all’interno di una precisa tomba. La rappresentazione di Ade e Persefone su di un carro che non ci sorprende nell’arte funeraria di Aigai, dopo gli studi esaminati sul tema pittorico del Ratto. tuttavia qui, non si tratta della progressione (gignestai) di un racconto drammatico, ma il compimento (einai) irrevocabile dell’apparizione divina. Il pittore vuole rappresentare “l’epifania” degli dei degli inferi, e per riuscirci, ricorre ad una composizione particolarmente audace e inusuale che, per quanto ne sappia, è totalmente inusuale persino nelle epoche posteriori. Tradizionalmente, l’epifania divina è strettamente legata alla frontalità. Il dipinto del trono si somma alla potenza evocatrice dell’antica tradizione, e decide di mettere alla prova la sua arte con la rappresentazione della coppia divina in maniera frontale. In più, sceglie la via più difficile poiché, invece di rappresentare gli dei assisi sul trono – schema iconografico che, con una visione di profilo, era evidentemente comune per la signora del Inferi dall’epoca arcaica – lui (il pittore) preferisce farla salire su di una quadriga. Adotta così per la sua scena un motivo dinamico avanguardista, introducendo nell’iconografia di Ade e Persefone tramite delle rappresentazioni mitiche di epoca classica. Ma questo procedimento non è stato facile poiché, se l’artista avrebbe voluto restare fedele alla realtà, invertendo lo stesso effetto cercato, le teste dei cavalli, che sono rappresentate frontalmente, avrebbero dovuto essere per la loro grandezza naturale, tali da coprire gli dei e fargli perdere la posizione centrale,. Perciò ha deciso di dividere gli animali al galoppo a due a due a seconda delle differenti direzioni, in un l’asse mediano totalmente in abituale e incomparabile con la realtà. Rinunciando alla veridicità della prospettiva, è riuscito a sposare i contrari e a combinare l’intensità del galoppo frenetico che sprigionano gli animali con la maestosità, l’eclatante serenità e l’immobile potenza divina. Gli dei che regnano sul destino dei mortali arrivano gloriosamente, e il mortale che si trova davanti alla loro immagine sente che non ha via d’uscita … Il numero pari delle figure della scena – due dei e quattro cavalli – privilegia la simmetria. Così, lo lascia intendere il fatto che la coppia divina sia posizionata al centro ed è trasversale all’asse della composizione. O, potrebbe essere un caso. I due cavalli a sinistra stanno un po’ stretti, gli altri due a destra si stendono, e Ade si mantiene su di un lato del carro. Nell’asse del dipinto domina da sola la figura preponderante di Persefone, Signora dei morti, che tiene lo scettro nella mano sinistra, e manifesta prima che la regalità il suo aspetto divino. E per rendere ancora più manifesta la sua presenza, è al posto del carro dove i motivi ornamentali dei spirale si separano, e al di sopra della sua testa cresce il solo fiore rosso. Ai piedi della Dama degli inferi, si trovano le ossa della regina – sacerdotessa morta che, tramite la pira funeraria sulla quale era stata bruciata, era diventata essa stessa una offerta agli dei ctoni. Dei ballerini divini che turbinano con passione e le sfingi rigide che guardano silenziosamente verso l’aldilà circondando la salma che aveva conosciuto la purificazione del fuoco ; tra le stelle vagano donne serene, e un po’ più giù delle belve divorano le loro vittime, nel momento in cui l’edera, essenza simbolo di Dioniso, segno di vita eterna e vittoriosa, dipana i suoi fili risplendenti. Al di là della volontà di imitare con successo una decorazione reale, che impone il tipo, la dislocazione del decoro (piedi, transetti, fregi in rilievo e giri) e la selezione dei motivi decorativi prettamente detti(spirali, elementi a forma d’abaco, kymatia), mi sembra evidente che una logica più profonda determina la scelta dei temi precisi e la relazione tra di loro. Questi temi suggeriscono un mondo pieno di simboli … La presenza delle ossa della regina che, protette all’interno dell’urna di marmo, si trovano sul trono, ai piedi di Persefone, ci ricordano i versi incisi su di una lamina d’oro della tomba da un iniziato:
Testo in greco
Capretto, io sono anche annegato nel latte,
io mi sono immerso nelle braccia della Dea,
la formidabile Persefone.
Nel regno di Ade, immagini e simboli prendono un’altra dimensione, le prede che muoiono sotto gli artigli delle fiere illustrano il grande mistero dello smembramento divino e insegnano il destino dei mortali: le Sfingi enigmatiche, questi mostri temibili ( adeva pelora) sorvegliano il passaggio segreto, e le iniziate che danzano eternamente nell thiasos sacro dei beati. Al braccio di Persefone, la regina Euridice – che porta il nome della compagna di Orfeo il primo iniziato – si appresta a conoscere una nuova via, beata e spensierata con gli Eroi – Beati nella luce dei Campi Elisi.
Testo Greco
tu non sei morto … Tu hai fatto un viaggio verso un luogo migliore,
Nelle isole dei Beati tu abiti e dimori.
Nei Campi elisi tu danzi e gioisci
tra le ghirlande di fiori, lontano da tutti i mali.
L’inverno o la canicola non ti rattristano più,
la fame non ti pesa più, né il sonno
e tu non desideri più la via degli uomini.
Senza imperfezioni vivi presso la luce immensa dell’Olimpo
Nella metà del IV secolo a.C. le idee di Platone e le cronache dei culti iniziatici di Dioniso, Orfeo e Pitagora, che promettono agli eletti una nuova vita migliore dopo la morte, avevano dei seguaci ferventi in Macedonia e all’interno dello stesso palazzo reale. La pia Euridice, che aveva riempito di offerte il santuario d’Aigai, era, per noi, la prima sacerdotessa. In più il suo nome testimonia un legame con le iniziate dei culti orfici. Arrivata ad un’età avanzata, e allorché attendeva la morte che l’avrebbe condotta nel regno dei Beati, non è difficile immaginare che si sia interessata lei stessa della costruzione della sua tomba, applicando le idee e le cronache che hanno lasciato la loro impronta sul marmo del monumento e sulla sua decorazione. Non è certamente un caso il fatto che si possa trovare nella sua sepoltura una delle prime e delle più complete espressioni della tematica che è stata caratteristica dell’arte funeraria Macedone dalla fine dell’epoca classica e dagli inizi dell’epoca ellenistica. Ma ritorniamo ancora una volta alla nostra immagine. Se la tradizione che sigilla l’epifania di Persefone nella tomba della regina madre Euridice rapisce lo spettatore con la sua sacra regalità, ciò dipende dalla sconvolta impotenza della Kore nella scena dell’Ascensione della sposa reale. Sia che si trattasse del lavoro di due pittori differenti, ma che lavoravano nella stessa epoca – nello stesso decennio – nello stesso posto – a Aigai – e per lo stesso committente – il re di Macedonia Filippo II – sembra impossibile che ciascuno non avesse conosciuto l’opera dell’altro. Li immaginiamo entrambi come punto di partenza almeno teorico dello stesso soggetto – gli dei degli Inferi – e della stessa destinazione funeraria. Pertanto, se ci sono delle differenze essenziali, non solo tecniche e formali ma persino ideologiche, ciò deriva essenzialmente dalle differenze di temperamento, stile e intenti dei loro creatori. Ma io credo che ci sia un’altra ragione: nella grande tomba macedone riposa la personalità femminile più importante di tutta la corte, Euridice, la regina madre, morta prima di aver completato la sua missione, alla fine dei suoi giorni e piena di rispetto. Persefone appare sul trono funerario come la maestosa e incontestabile regina degli Inferi. E nella tomba a Cista si trova una delle sue figlie più belle. Il destino che aveva deciso la morte di parto della giovane donna, dipartita precocemente (aore), prima di poter godere veramente dei piaceri della vita. Nella primavera della sua giovinezza, era diventata la sposa di Caronte e non più quella del re. Così come Persefone, tragicamente portata via da Ade, soffre di un immenso dolore … Le associazioni non casuali ma sembrano determinati. La dialettica tra il contenuto e il contenitore delle immagini mitologiche e dei personaggi reali tende ad affermarsi.


 
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Javierv
view post Posted on 23/8/2013, 12:20




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4 replies since 13/1/2011, 01:26   106 views
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